Eravamo LGI: Hans Nicolussi Caviglia

Punto fermo del Südtirol, il centrocampista cresciuto nella Juve si è raccontato a 5 anni dalla sua prima presenza sull’almanacco
05.11.2022 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
© Instagram/hansnicolussi
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Ama la montagna e lo sci, che da piccolo praticava insieme al calcio. Dopo aver conseguito la maturità al liceo scientifico-sportivo, ha deciso di proseguire gli studi e attualmente sta frequentando la facoltà di Scienze Motorie all’università. Nel tempo libero le sue passioni sono cinema e letteratura, che considera utili anche per la propria carriera. È nato nel 2000, eppure il suo idolo non è un giocatore del secondo millennio, ma Johan Cruijff. Ha giocato con tutte le selezioni giovanili della Nazionale dall’Under 17 all’Under 21; prima di lui, solo altri due calciatori originari della Val d’Aosta erano riusciti a vestire la casacca azzurra. E potremmo andare avanti ad oltranza, come nei calci di rigore, ad elencare esempi che mettano in evidenza come Hans Nicolussi Caviglia, classe 2000, centrocampista del Südtirol, sia uno dei giovani italiani che non solo vale la pena ammirare sul campo, ma anche conoscere più da vicino.

Ciao Hans. Innanzitutto complimenti per le tue recenti prestazioni e per i risultati della squadra. Come tutti i ragazzi, hai iniziato a giocare a calcio spinto dalla passione di qualche famigliare. Nel tuo caso, la persona che ti ha avvicinato al mondo del pallone è stato tuo nonno, che in passato è stato anche allenatore. È vero, però, che quando eri piccolo avevi anche un’altra passione dovuta al lavoro di tuo padre?

“Sì, assolutamente. Sono cresciuto in Valsavarenche, ai piedi del Gran Paradiso. La passione per il mondo della montagna, quindi, non me l’ha dovuta passare nessuno: è nata da sé. Il fatto che mio padre facesse il guardaparco, poi, non ha fatto altro che rinforzarla. Ho iniziato a praticare lo sci (sia discesa che fondo) fin da piccolo, insieme al calcio. Quando a 8 anni mi ha chiamato la Juve ho dovuto scegliere tra la montagna e il pallone, perché abitavo molto distante da Torino e sarebbe stato impossibile fare quella strada per i tre allenamenti durante la settimana e anche per la partita nel weekend. Ho scelto il pallone e ci siamo trasferiti ad Aosta, così da essere più vicini”.

A posteriori possiamo dirlo: meno male che ha vinto tuo nonno.

“In realtà anche mio padre è un grande appassionato di calcio, quindi comunque è stato molto contento. Ovviamente, però, tra lui e mio nonno era mio nonno che aveva un legame più forte con il mondo del pallone, essendo stato da giovane giocatore e allenatore. È lui che mi ha trasmesso i primi insegnamenti”.

Hai cominciato il tuo percorso nella Juventus fin dai pulcini. In pratica, sei arrivato al top fin dall’inizio della tua carriera. È un aspetto che hai realizzato o pensavi solamente a goderti il momento?

“Prima della Juve ho fatto 2-3 anni all’Aymavilles-Gressan, una società di Aosta. Quando poi sono andato a Torino ho capito subito che, anche nelle squadre dei bambini, c’era una professionalità incredibile, che ti consentiva di migliorare ogni giorno. Era impossibile non percepirlo”.

Con i bianconeri hai giocato dai Pulcini alla Primavera, fino addirittura all’esordio in prima squadra. Praticamente una parte di vita sportiva. Che bilancio faresti del tuo percorso a livello calcistico, emotivo e anche di crescita personale?

“Al primo posto metto l’aspetto umano. La società mi è sempre stata accanto: da quando organizzava le navette che permettevano a me e ad altri ragazzi di andare agli allenamenti a quando mi ha consentito di frequentare il liceo a Torino. Ho conosciuto poi molti allenatori con cui sono ancora in contatto e a cui chiedo tuttora consigli. Per quanto riguarda la mia crescita a livello calcistico, quello che ho appreso negli anni alla Juventus è ciò che mi consente di essere dove sono oggi”.

Nel tuo primo anno in Primavera vieni inserito nell’almanacco de La Giovane Italia. Che sensazione è stata vedersi nel libro che raccoglie i migliori giovani italiani?

“Mi ricordo che ogni anno consegnavate gli almanacchi a Vinovo. Noi andavamo sempre a guardarli e a leggere le pagine dei nostri compagni. La prima volta che mi avete inserito fu speciale vedermi lì sopra. Ero molto contento e orgoglioso”.

Hai detto giustamente “la prima volta che mi avete inserito”. Dopo il tuo debutto, infatti, sei stato inserito nel libro de La Giovane Italia anche nei due anni successivi. In queste 3 edizioni c’è qualcosa che ti fece particolarmente piacere leggere?

“Certo. Mi piaceva soprattutto il “Dicono di lui”. Ogni volta si trattava di una persona per me molto importante. Pessotto, vista la sua esperienza gigantesca e i suoi anni alla Juventus, è sempre stato (ed è tuttora) un punto di riferimento importante per tutte le giovanili. Baldini e Guidi (anche se quest’ultimo l’ho avuto solo un anno in Nazionale) sono altre due figure che hanno avuto una notevole importanza nella mia carriera”.

Leggendo la tua pagina sull’almanacco mi ha colpito soprattutto un aspetto, che è stato sottolineato più volte da chi ha parlato di te e che secondo me incarna anche lo spirito LGI. Spesso, quando finivi gli allenamenti, ti fermavi a guardare quelli dei più piccoli. È vero?

“Sì, mi sono sempre fermato. Anche perché conoscevo bene gli allenatori (dato che erano stati i miei mister negli anni precedenti). Il motivo per cui li guardavo, però, non era il legame che avevo mantenuto con lo staff. Semplicemente mi piaceva (e mi piace ancora) restare a guardare i ragazzini che giocano, vedere come si divertono, come toccano la palla… Ho fatto il loro stesso percorso, quindi mi immedesimo facilmente in loro, nell’entusiasmo che ci mettono e nella passione che li anima. È una cosa unica osservarli”.

Nel 2018/19 debutti in Serie A. Indossi la maglia numero 41 e, per uno strano scherzo del destino, la partita finisce 4-1. Queste cifre sono le stesse del tuo idolo, giusto?  

“Esatto. Il calciatore che ho stimato più di tutti, che ho sempre considerato il mio idolo e punto di riferimento è Johan Cruijff, che giocava con il numero 14. Ovviamente non ho vissuto la sua epoca, ma mi sono informato, ho guardato diverse partite e numerosi video. Apprezzo moltissimo quello che è stato in campo, ma anche come allenatore e dirigente. Mi sono appassionato alla sua figura e alla sua capacità di lasciare il segno in una triplice veste. Mia sorella poi vive ad Amsterdam e quando sono andato a trovarla ho avuto l’occasione di visitare molti dei luoghi che lo riguardano: lo stadio, la sua prima casa… Insomma, l’ho conosciuto a fondo”.

L’esordio con la prima squadra della Juventus coincide con la tua prima convocazione in assoluto. Ti aspettavi di debuttare? Cos’hai pensato quando Allegri ti ha detto che saresti entrato?

“Era da qualche mese che mi allenavo con loro, ma non ero mai andato in panchina, quindi la prima sorpresa fu ricevere la convocazione. Domenica, poi, con il risultato ampiamente a nostro favore il mister decise di buttarmi nella mischia. Io non ho pensato ad altro che a rimanere focalizzato sulla partita e sul momento in cui ero. Solo dopo il triplice fischio mi sono reso conto di quello che era successo e dell’emozione grandissima che avevo provato”.

La stagione successiva sei andato a Perugia e hai vissuto la tua prima esperienza con “i grandi”. Com’è stato?

“Sono stato molto bene a Perugia, nonostante un epilogo che nessuno si aspettava e si augurava. Ho trovato una società, dei compagni e una città che mi hanno accolto benissimo. Ho avuto la possibilità di accumulare ben 30 presenze in Serie B e credo di essere migliorato tanto. È un’esperienza che mi è servita, tant’è che l’anno dopo sono andato a Parma”.

A proposito del numero di presenze, sei forse la testimonianza che ai giovani italiani vanno semplicemente dati spazio e fiducia?

“Eh, dipende da tanti fattori. In generale credo che la Serie B sia molto formativa e che possa essere un trampolino di lancio per un giovane che fa bene. Soprattutto negli ultimi anni, infatti, si è evoluta molto e ci sono diverse squadre che potrebbero competere anche in Serie A”.

Ora sei al Südtirol, sempre in Serie B. Ti chiedo cosa ti ha spinto a venire qui e, soprattutto, se ti aspettavi un inizio di stagione del genere. 

“Ho scelto questa società perché negli anni ne ho seguito il percorso e apprezzato le caratteristiche. Sapevo che avrei trovato un club molto serio, basato sul lavoro quotidiano e sull’umiltà, due aspetti che condivido pienamente. Per quanto riguarda l’avvio di stagione, ero consapevole del nostro valore anche quando abbiamo raccolto tre sconfitte di fila. Ero convinto che si trattasse solo di una questione di tempo: dovevamo solo trovare la quadra e acquisire un po’ di consapevolezza. Dopo poco tempo, infatti, i valori sono venuti fuori”.

Parallelamente al tuo percorso nei club c’è sempre stato quello con le varie selezioni giovanili dell’Italia. Hai cominciato con l’Under 17 (con la quale hai segnato a Olanda e Spagna), poi hai proseguito con l’Under 18, l’Under 19, l’Under 20 e l’Under 21. Prima di te solo due giocatori originari della Val d’Aosta erano riusciti ad arrivare in Nazionale: Pellissier e De Ceglie. C’è un ricordo che ti porti dentro legato alla maglia azzurra?

“Sicuramente il gol su punizione che ho fatto alla Spagna all’Europeo Under 17. In generale, comunque, mi ricordo tutte le convocazioni che ho ricevuto. Quando sei così giovane e hai l’opportunità di affrontare con la maglia della tua nazionale squadre molto preparate, ricche di giocatori fortissimi, non puoi che crescere. È un’esperienza che ti forma. E poi indossare la maglia azzurra è sempre un’emozione fantastica”.

Quali sono adesso i tuoi obiettivi sia dentro che fuori dal campo?

“Per quanto riguarda la vita extra calcistica, sicuramente completare il percorso di studio. Sto frequentando la facoltà di Scienze Motorie e voglio laurearmi. In campo l’obiettivo a breve termine è aiutare la squadra a raggiungere il traguardo che ci siamo prefissati: la salvezza. Se guardo un po’ più in là, voglio tornare ai livelli pre infortunio e raggiungere la Serie A”.

Per migliorarti e raggiungere i traguardi che ti sei prefissato, ho letto che pensi siano utili anche cinema e letteratura, che hai definito “nutrimento per il calcio”. Ci spieghi cosa intendi?

“Credo semplicemente che, una volta finito l’allenamento o la partita, tornare a casa e non fare niente non sia produttivo. Leggere o guardare dei bei film, invece, penso che arricchisca non solo a livello culturale, ma anche come persona. E poi ritengo che molte delle cose che si trovano nel cinema, nella letteratura e nelle arti possano aiutare anche un calciatore, perché alla fine è tutto correlato. Si può imparare in qualsiasi modo: guardando film, leggendo un libro, ascoltando podcast. Tutto può essere utile e formativo”.

Parole e musica di Hans Nicolussi Caviglia. Aggiungere altro sarebbe superfluo. A noi non resta che sottoscrivere e ringraziare.