Eravamo LGI: Alessio Riccardi

Decisivo nelle ultime due vittorie del Latina, è cresciuto nel vivaio della Roma e può contare ben 6 presenze consecutive sull’almanacco
24.12.2022 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
© Instagram/riccardi_alessio
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Quante volte abbiamo sentito dire: “i risultati nel calcio non sono tutto: bisogna analizzare le prestazioni”? Probabilmente qualche centinaio. E come tutte le frasi fatte, a livello teorico non fa una piega. Non si può ridurre una partita al punteggio finale; sarebbe superficiale e, soprattutto, ingiusto. Tuttavia – e chiunque abbia giocato a calcio può confermarlo – è innegabile che una vittoria porti molti più benefici di una semplice buona prestazione. Durante la settimana si lavora meglio, il clima è più disteso e la fiducia nei propri mezzi è maggiore. Ecco perché 8 partite senza successo, per quanto si possa essere convinti del percorso intrapreso e soddisfatti delle gare disputate, pesano. Per uscire da un periodo complicato esistono essenzialmente due metodi: affidarsi alla maturità e all’esperienza dei più anziani o puntare sulla spensieratezza e l’entusiasmo dei più giovani. Dopo un mese e mezzo senza vittorie, il Latina ne ha centrate due di fila, segnando 4 gol e subendone 0. Se vi state chiedendo quale delle due strade ha intrapreso, vi basti sapere che in tutte e 4 le reti c’è lo zampino di Alessio Riccardi, classe 2001.

Ciao Alessio. Complimenti per i successi e le prestazioni contro Cerignola e Fidelis Andria: 2 gol, 2 assist e 6 punti in cassaforte. Ti sei sbloccato e avete ritrovato la vittoria.

“Eh sì, ritrovare il successo era importante. Venivamo da una serie di partite in cui ci era mancato il gol; avevamo giocato bene, le prestazioni erano state all’altezza, ma non eravamo riusciti a trovare la via della rete e, di conseguenza, la vittoria. Il primo motivo di gioia, quindi, è essere riusciti a ritrovare i 3 punti. Poi ovviamente segnare fa sempre piacere, per cui la soddisfazione è doppia”.

Questo è il tuo primo anno di Serie C. Com’è stato l’impatto con la categoria? Cosa ti ha spinto a venire qui e come ti stai trovando?

“Avevo bisogno di rimettermi in gioco perché ero fuori da tanto tempo. L’impatto con la Serie C non è stato semplice, soprattutto perché avevo bisogno di ritrovare il ritmo partita. Col passare delle settimane e delle gare sono riuscito a mettermi a regime e adesso posso dire di essermi calato nella categoria. A livello di ambiente mi trovo benissimo, sia in città che nella squadra”.

In questo momento siete ottavi, ma la classifica è cortissima, tant’è che avete gli stessi punti della quinta. Quali sono gli obiettivi della squadra e quali sono i traguardi che vuoi raggiungere a livello individuale?

“Beh, come gruppo, l’obiettivo che ci siamo prefissati da inizio stagione è quello dei playoff. A livello personale voglio solo aiutare la squadra a raggiungere il traguardo. E per gli anni che verranno non mi sbilancio”.

Abbiamo cominciato parlando del presente e abbiamo cercato di fare un salto nel futuro. Ora è il momento di tornare indietro e di ripercorrere la tua carriera. Cominci a giocare nella Lazio (non quella che tutti conosciamo, ma la Lazio Calcio a 5) e poi passi alle giovanili della Roma. Una scelta non banale. Come hai vissuto quel salto?

“La Lazio era la squadra del mio quartiere: tutti i miei amici giocavano lì e quindi decisi di aggregarmi. Non fu una scelta tanto legata alla società, quanto alla volontà di stare insieme. Sai, quando sei piccolo è l’unica cosa che ti interessa veramente: divertirti con i tuoi amici. Poi passai all’altra sponda, ma non fu una situazione strana o complicata, anzi: io ho sempre fatto il tifo per la Roma, per cui ritrovarmi nelle giovanili giallorosse per me era bellissimo”.

Con la Roma inizi nei Pulcini e fai tutta la trafila del settore giovanile. Nella stagione 2015/16 – la prima in cui vieni inserito nell’almanacco LGI – sei il capitano dell’Under 15 e realizzi addirittura 13 gol in 27 presenze. Numeri niente male per un centrocampista…

“Diciamo che in quelle categorie si segnano molti più gol, quindi i dati vanno sempre presi un po’ con le pinze. Comunque è vero: soprattutto all’inizio ero un centrocampista molto più offensivo che difensivo; ero una mezzala che si inseriva spesso e di conseguenza segnavo parecchi gol”.

L’anno successivo (e da quel momento in avanti accadrà sempre) cominci a giocare sotto età. Vieni infatti aggregato in Under 17 e raccogli diverse presenze. Che stagione è stata?

“Mi ricordo che dopo 5-6 anni passati sempre con lo stesso gruppo – quello con cui avevo cominciato nei Pulcini – non è stato facile staccarsi e cambiare spogliatoio. È vero che stavamo comunque tutti a Trigoria e quindi riuscivo lo stesso a incrociare i miei ex compagni, però all’inizio ho avuto bisogno di un periodo di ambientamento: lo staff era nuovo, il gruppo era nuovo, la categoria era nuova… Superata quella fase, è andato tutto benissimo. Giocare sotto età non può che essere una grande soddisfazione”.

La stagione seguente (2017/18) giochi in Primavera. Dal punto di vista anagrafico non cambia niente (continui infatti ad essere sotto età) e dal punto di vista realizzativo neanche (la tua media gol rimane elevata); la novità è quasi tutte le reti sono pesanti. È così?

“A inizio anno ho faticato a ritagliarmi il mio spazio, sia in campionato che in Youth League, ma da quando ho raccolto le prime due presenze da titolare – la seconda delle quali con doppietta in casa della Juventus – ho sempre giocato con continuità. Poi sono arrivati anche i gol al Milan e alla Lazio… È stato bellissimo”.

Hai citato la Youth League e sfrutto questo assist. Nel 2018/19 sei un punto fermo della Primavera fin dall’inizio dell’anno e ti fai conoscere anche a livello internazionale grazie a 5 gol in 7 presenze nel vostro percorso europeo.

“Mi ricordo che il primo anno in Primavera realizzai reti importanti in campionato, ma nessuna in Youth League. Il secondo anno, invece, la situazione si ribaltò: segnavo poco in Italia, ma quando giocavamo in Coppa facevo sempre gol”.

Nello stesso anno fai l’esordio in prima squadra e fai registrare un record. Sai di che cosa si tratta?

“Se non sbaglio sono stato il primo giocatore nato negli anni 2000 ad esordire tra i grandi”.

Esattamente. Ci racconti come hai vissuto il debutto?

“Devo ammettere che quel giorno l’esordio era nell’aria. C’era una serie di circostanze per cui un po’ mi aspettavo di esordire, quindi ero abbastanza in ansia. Passammo la giornata in ritiro a Trigoria e provai a non pensarci, ma quando arrivammo allo stadio fu impossibile far finta di niente. Mi ricordo benissimo la scena in cui Di Francesco mi annunciò che era il mio momento; provò a rassicurarmi e a dirmi di stare tranquillo, ma io ero emozionatissimo. Quando entrai non è che pensai a molte cose: cercai solamente di godermi la situazione. L’unica cosa di cui ti rendi conto razionalmente nell’attimo prima della sostituzione è che non stai per calcare il campo di uno stadio di Primavera, ma dell’Olimpico, quindi tutto è amplificato. Probabilmente quel giorno è il ricordo più bello che ho da quando gioco a calcio”.

Parallelamente al tuo percorso nel settore giovanile della Roma c’è quello in Nazionale. Hai fatto parte di tutte le selezioni dell’Italia, dall’Under 15 all’Under 20. C’è un ricordo particolare che ti porti dentro? Un gol, una partita, l’amicizia con un compagno che in quel momento non era nel tuo stesso club…

“Sicuramente l’anno dell’Europeo con l’Under 17. Essere riusciti ad arrivare in finale, giocando contro nazionali fortissime ed eliminando squadre come Inghilterra e Belgio, fu incredibile. Peccato per l’ultima partita contro l’Olanda: andammo in svantaggio, segnai l’1-1, ribaltammo la partita, ma poi subimmo il 2-2 a poco dalla fine. L’Under 17 non aveva i supplementari, quindi praticamente subito dopo aver incassato il pareggio dovemmo presentarci dagli undici metri. A livello psicologico non fu facile e infatti perdemmo. Il risultato comunque non sminuisce i ricordi: si è trattata sicuramente dell’annata più bella ed emozionante”.

In realtà il tuo percorso con l’Italia non si è limitato alle giovanili: nell’aprile 2019, infatti, sei stato convocato da Mancini per uno stage con la Nazionale maggiore. Te l’aspettavi?

“Assolutamente no. Mi ricordo che in quella stagione c’erano in programma sia i Mondiali Under 20 che gli Europei Under 21. La Federazione decise quindi di organizzare uno stage nel quale visionare parecchi giovani. Vennero chiamati cinque 2001 e io ero tra quelli. Cosa posso dire? È stata un’emozione indescrivibile… Trovarsi due giorni a Coverciano, condividendo campo e spogliatoio con i giocatori della Nazionale maggiore, fu fantastico”.

I tuoi anni alla Roma non sono caratterizzati solamente dalle convocazioni con le varie selezioni giovanili dell’Italia, ma anche dalla presenza sull’almanacco de La Giovane Italia. Sei uno dei pochissimi giocatori che è stato inserito ben sei volte sul libro: ti ricordi la prima?

“Non mi ricordo il momento esatto in cui mi comunicarono di essere sull’almanacco, ma quello che posso raccontarti è che ogni anno, nella nostra squadra, c’era grandissima curiosità di vedere chi di noi fosse stato inserito e a chi fosse stato paragonato”. 

Nel corso degli anni c’è qualcosa che ti fece particolarmente piacere leggere sulla tua pagina?

“Beh la parte che ti rimane più impressa è proprio quella dei paragoni. Se non sbaglio, la prima volta mi paragonaste a Montolivo e io rimasi un po’ colpito perché non mi ci ritrovavo tanto nelle sue caratteristiche; lui era abbastanza difensivo, mentre io ero più di inserimento. Poi negli anni successivi venni accostato a Pjanic e per me fu un onore perché era il giocatore della Roma che ammiravo di più. L’ultimo paragone fu con Marchisio e probabilmente fu quello più calzante di tutti per le mie caratteristiche”.

Per quanto riguarda invece i “Dicono di lui”, vennero realizzati da D’Andrea, Toti e De Rossi. Che rapporto hai avuto con loro?

“D’Andrea è stato il mio mister con i Giovanissimi. Quella fu un’annata splendida, in cui arrivammo addirittura in finale Scudetto. Toti l’ho avuto in Under 17 nella stagione da sotto età, che per me fu molto importante. De Rossi è stato il tecnico che ho avuto più a lungo: mi allenò 3 anni in Primavera e fin da subito stringemmo un rapporto eccezionale. Nonostante fossi il più piccolo ha avuto fiducia in me dal primo momento e mi ha sempre fatto giocare”.

In realtà c’è un’altra persona che ha parlato di te sulle pagine del nostro almanacco, ma non è un allenatore. Si tratta di Luca Pellegrini, tuo ex compagno, che ci ha detto: “È un bravissimo ragazzo e un elemento sicuramente positivo all’interno di qualunque spogliatoio. Oltre alle doti umane, anche quelle tecniche sono indiscutibili: è un trascinatore in mezzo al campo, sa di avere delle qualità importanti, ma resta con i piedi per terra, lavorando con umiltà per migliorare”. Commenti?

“Che dire? Ho condiviso lo spogliatoio con Luca quando sono arrivato in prima squadra. Non abbiamo fatto in tempo ad incrociarci nelle giovanili perché lui ha bruciato le tappe ed è arrivato velocemente tra i grandi. Quando sono salito anch’io ho avuto modo di conoscerlo e posso dire che ricambio tutte le parole che ha speso nei miei confronti. È un bravissimo ragazzo e mi ci sono sempre trovato bene”.

Nell’estate 2020 lasci la Roma e vai al Pescara in Serie B. Com’è stato l’impatto con il mondo dei grandi, sia a livello di calcio giocato che di spogliatoio?

“Beh, a livello di campo il salto l’ho sentito. È vero che negli ultimi mesi alla Roma, pur giocando con la Primavera, mi allenavo quasi stabilmente con i grandi, per cui avevo già sperimentato la differenza di ritmo; in prima squadra vanno tutti a 100 all’ora e per star loro dietro devi dare sempre il 200%. Però comunque ritrovarsi in Serie B a 19 anni, circondato da compagni che sono abituati da tempo alla categoria e che in alcuni casi vengono addirittura da stagioni passate in Serie A, fu tosto. È in queste situazioni però che cresci e impari tantissimo. A livello di spogliatoio andò praticamente allo stesso modo. Inizialmente fu difficile, anche perché di carattere non sono uno che prende confidenza subito, però poi non ho mai avuto problemi con nessuno, anzi: mi sono trovato benissimo. Nel corso di una stagione intera la condivisione dei momenti belli e di quelli brutti, delle vittorie e delle sconfitte, non fa altro che rafforzare il gruppo e ti fa stringere legami sempre più stretti con i tuoi compagni. E poi la presenza di tanti giovani ha facilitato l’ambientamento”.

A proposito di ambientamento nel calcio professionistico, pensi che le selezioni Under 23 possano aiutare i ragazzi nel passaggio dal settore giovanile al mondo dei grandi? Te lo chiedo perché nella tua carriera hai avuto modo di sperimentare il salto dalla Primavera alla prima squadra di un grande club e ora stai facendo la Serie C, che è il campionato il cui le Under 23 sarebbero inserite.

“Secondo me potrebbero rivelarsi molto utili, perché consentirebbero ad un giovane di rimanere all’interno della propria società e di continuare a giocare con i propri compagni, avendo allo stesso tempo l’opportunità di cimentarsi con il livello e il ritmo di un campionato professionistico come la Serie C. In questo modo i ragazzi potrebbero arrivare più preparati alla Serie B o alla Serie A. Sì, credo che le Under 23 potrebbero aiutare”.

In apertura di intervista abbiamo parlato di presente e di futuro e poi ci siamo concentrati sul passato. Mi piacerebbe chiudere allo stesso modo, per cui ti faccio una domanda: se oggi, a dicembre del 2022, dovessi scegliere un’istantanea di quella che è stata la tua carriera fino ad ora e dovessi immaginare un’istantanea legata ai prossimi anni, quali ti verrebbero in mente?

“Se mi guardo indietro non ho dubbi. Ho sempre tifato per la Roma, ho passato moltissimi anni a Trigoria e tutti i sacrifici che ho fatto sono sempre stati motivati da un unico sogno/obiettivo: vestire un giorno la maglia giallorossa della prima squadra, fosse anche solo per 5 minuti. Ci sono riuscito e, per di più, l’ho fatto all’Olimpico, quindi l’istantanea non può che essere quella del mio debutto tra i grandi”.

Perciò possiamo dire che l’istantanea del futuro sia tornare all’Olimpico?

“[Ride] Eh, magari… Quello ovviamente sarebbe un sogno, ma adesso non ci penso. Per ora ti dico semplicemente che l’obiettivo è fare bene qui. Poi si vedrà…”.

Una risposta da cui emergono i due tratti distintivi del passato e del presente di un 2001 che sta facendo parlare di sé tra i grandi: entusiasmo e spensieratezza. E per il futuro si vedrà.